lunedì 1 ottobre 2018

RECENSIONE: UNA DI LUNA


Titolo: Una di Luna
Autore: Andrea De Carlo
Editore: La nave di Teseo
Anno di pubblicazione: 2018
Prezzo di copertina: € 18,00


"E' vero che la Luna mi ha salvato la vita, più di una volta"

Sinossi
Margherita è la figlia unica dello chef Achille Malventi, un tempo ricco e famoso proprietario di un ristorante esclusivo in Piazza San Marco, a Venezia. Adesso è lei a dirigere un piccolo ristorante nel sestiere di Castello, mentre il padre, quasi novantenne ma ancora in gamba, ha perso tutto a causa delle sue manie di grandezza. I due non sono mai andati granché d'accordo, a causa soprattutto del carattere scontroso ed egocentrico di Achille, che non è mai sembrato interessato ad instaurare con la figlia un rapporto che andasse oltre una distaccata superficialità. Ma un viaggio insieme a Milano sembra offrire a Margherita la possibilità di riavvicinarsi al genitore, superando quella freddezza che da sempre la rende malinconica ed insicura. Lunatica, potremmo dire, togliendo però a questo aggettivo qualsiasi connotazione negativa, visto che per lei la Luna è sempre stata un'ancora di salvezza, il silenzio contro il rumore, il raccoglimento contro la dispersione.
Però da questo viaggio insieme a Milano qualcosa me l'aspettavo, a essere onesta: un minimo di comunicazione, di scambi. A essere totalmente onesta, mi aspettavo molto di più: tutto quello che non avevo mai avuto da lui, in pratica. L'attenzione, la sincerità, la voglia di capirmi, di farsi capire.
Achille è stato invitato a partecipare come ospite d'onore alla popolarissima trasmissione televisiva Chef Test, e nonostante la sua avversione per quelli che lui definisce "scaldapentole televisivi", ha deciso di accettare, nella speranza che quella comparsata possa in qualche modo riabilitare la sua immagine. Né le aspettative di Margherita, né, tantomeno, quelle di Achille verranno soddisfatte, ma quel viaggio rappresenterà comunque un punto di svolta nella vita della donna, che incontrerà una persona in grado di darle la forza per superare indecisioni, paure e sensi di colpa, aiutandola così a trovare finalmente la giusta direzione da percorrere.      

Pregi
Leggere un romanzo di Andrea De Carlo è un po' come tornare a casa. Uno di quei ritorni dopo un lungo viaggio che mi ha coinvolto ma anche stancato, che mi fa pensare "adesso è ora di tornare". Il viaggio sono gli altri libri letti nel frattempo, romanzi pieni di avventura e di storie inattese, di personaggi sfaccettati per i quali provo amore e odio, simpatia e avversione, empatia e distacco, paura. Libri e personaggi che sono andato a cercare proprio per la loro esoticità, per la loro imprevedibilità, per la loro proposta di una realtà diversa dalla mia con la quale potermi confrontare, per soddisfare un bisogno di conforto o di fuga o di sfogo emotivo o di slancio dell'immaginazione. In fondo leggere romanzi vuol dire questo, no? Lasciarsi trasportare in un mondo altro, accettare, come dice Stephen King, la telepatia che mette in contatto la tua mente con quella dello scrittore, indirizzare per un certo tempo i propri sentimenti, pensieri, apparati ricettivi verso fatti e persone che non esistono, ma non per questo, proprio perché stimolano il nostro essere più profondo e le nostre fantasie e le nostre aspettative, sono meno reali. Ma poi arriva il momento del distacco, di quando il romanzo finisce e tu resti lì con quel senso di vuoto più o meno profondo a seconda che il libro ti sia piaciuto o meno, sempre comunque un po' disorientato, alle prese col piccolo trauma di tornare alle cose tangibili, alla realtà concreta, alle persone in carne e ossa. Ecco, con Andrea De Carlo mi capita il contrario. Appena comincio a leggere mi pervade quel senso caldo e rilassante del ritorno da una vacanza impegnativa, quella sensazione appagante di avere un nido caldo e accogliente che mi aspetta, il riconoscimento di quello stato d'animo fino ad allora nascosto sotto l'eccitazione e l'entusiasmo della novità e dell'azione che mi fa dire: "però, dopo, è bello anche tornare a casa". Perché a casa mi aspettano la tranquillità, la sicurezza di potermi muovere in un ambiente conosciuto, il calore, il riposo. Mi aspetta la normalità. E non conosco autore (in Italia, perlomeno) che sappia descrivere la normalità come lo fa Andrea De Carlo. La sua, mi viene da dire parafrasando un'espressione del mondo della tecnologia, è una normalità aumentata. Con lui sai sempre cosa trovi (è questo, in estrema sintesi, il succo del discorso), ma sai anche che quello che trovi assomiglia solo vagamente a quello che ti saresti aspettato. Come se, rientrando in casa, scoprissi che i colori della tua tovaglia preferita sono più vivi, che la luce è più intensa, che la tua poltrona è più morbida. In tutto il romanzo (in tutti i suoi romanzi), la lente d'ingrandimento dell'autore rende meno sbiaditi i particolari (fino, nei passi più felici, a farli risplendere) di una normalità che diamo per scontata, di situazioni, stati d'animo, caratteri, discussioni, incontri e scontri che fanno parte della nostra vita quotidiana, ma che, presi come siamo dall'intensità divorante dei nostri impegni, non riusciamo a scorgere, e che comunque non riusciremmo a definire. Il capannone di Chef Test che si profila nella nebbia, tanto per fare un esempio, viene descritto così: "Perso com'era in fondo alle linee orizzontali del paesaggio monocromatico filtrato dalla foschia velenosa", aprendoci gli occhi su un grigio e freddo paesaggio di periferia e facendolo diventare interessante, quasi fossimo di fronte ad un dipinto. Il cedere lento di Margherita alle avances di Jules, poi, è l'ennesimo esempio della capacità di De Carlo di "vivisezionare" i sentimenti e le sensazioni, di ridurli ai minimi termini per carpirne il funzionamento misterioso, quei meccanismi arcani con cui abbiamo a che fare tutti i giorni, ma che, appunto, non riusciamo quasi mai a definire. Così come la personalità piena di contraddizioni di Achille, quella rassegnata di Teresa, la vita priva di slanci ed emozioni di Margherita con Luca, l'imprevedibilità e la perspicacia di Jules, la cafonaggine degli Chef-star. Niente, per De Carlo, è mai banale, perché niente, a ben pensarci, è effettivamente mai banale. De Carlo ci mostra la realtà non come la vediamo quotidianamente, coi nostri sguardi resi svogliati dall'abitudine e coi nostri cervelli persi su lunghezze d'onda divergenti, ma come la vedremmo se fossimo sempre presenti, con tutto il nostro corpo pieno di apparati ricettivi e la nostra mente con le sue migliaia di miliardi di sinapsi. Come, appunto, se avessimo costantemente davanti ad occhi, cuore e cervello una lente d'ingrandimento, quella con cui Andrea De Carlo ci rende cara, viva e familiare la normalità. 

Difetti
Nessuno di rilievo

Consigliato a 
I decarliani incalliti
Chi non ha mai letto De Carlo

Voto
5/5             

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