martedì 18 settembre 2018

RECENSIONE: QUINTO COMANDAMENTO



Titolo: Quinto comandamento
Autore: Valerio Massimo Manfredi
Editore: Mondadori
Anno di pubblicazione: 2018
Prezzo di copertina: € 20,00

Sinossi
Il romanzo è ispirato alle avventure di un missionario saveriano incontrato dall'autore. Padre Marco Giraldi (questo il nome del suo personaggio nella finzione narrativa) è originario di un paesino delle valli bergamasche e fin da bambino (da quando, a scuola, rimase affascinato dalla testimonianza di un missionario) sa che il suo destino sarà, appunto, la missione. Magari in Africa.
Era quello il motivo per cui aveva alzato la mano quel giorno nell'aula delle elementari quando il missionario, dopo i suoi racconti avventurosi, aveva chiesto chi volesse venire con lui? Lo sentiva per la prima volta con certezza: era il guidare una jeep in mezzo a una piana costellata di acacie scheletrite e scorticate sotto un cielo con milioni di stelle in attesa che sorgesse la luna piena, enorme disco d'argento; udire il leone far tremare la terra con il suo ruggito sincopato, sentire che il rumore del motore veniva ingoiato dal silenzio, trasformato in un ronzio appena percettibile. Era l'avventura solitaria, il rischio che gli soffiava sul volto brividi di emozioni sconosciute fino a quel momento, risuonare di voci lontane e sommesse a volte in un coro difforme, a volte nell'armonia dell'immensità notturna.
Marco, quindi, fedele a quell'impulso giovanile, si farà sacerdote, e la sua prima missione sarà la più difficile e pericolosa che gli potesse capitare: in Congo, alla vigilia della concessione dell'indipendenza da parte del Belgio. Siamo nel 1960 e il paese centrafricano è sull'orlo di una sanguinosa guerra civile. La tanto agognata indipendenza, infatti, non è un semplice atto di liberalità da parte della monarchia di re Baldovino, ma nasconde delle motivazioni politiche ed economiche molto precise. L'intento degli europei è sì quello di liberarsi di una colonia il cui mantenimento era diventato troppo costoso, ma nello stesso tempo è anche quello di non perdere la possibilità di sfruttare i ricchi giacimenti di minerali preziosi del Katanga appoggiando a loro volta la richiesta d'indipendenza di quelle regione, che sarebbe poi stata guidata da un governo fantoccio guidato dalle potenze europee e dagli Stati Uniti. Per contrastare questo disegno Patrice Lumumba, il nuovo primo ministro, chiede aiuto prima all'ONU e poi all'Urss, innescando così tutta una serie di alleanze che vedranno contrapporsi sovietici, cinesi, cubani e congolesi ribelli da una parte e europei, americani ed esercito regolare dall'altra. L'assassinio di Lumumba non farà che inasprire il conflitto, dando ai Simba (i più sanguinari tra i ribelli) un motivo in più per sfogare la propria violenza su chiunque potesse in un modo o nell'altro essere considerato vicino all'invasore. E i docili missionari, non adusi alla violenza (che anzi viene loro vietata dai voti pronunciati), inermi e indifesi, subiranno le conseguenze più cruente di questa escalation di ferocia e di morte. Sarà proprio per salvare questi missionari dalle atroci torture dei ribelli che padre Marco, seguendo la propria coscienza che gli intima di accorrere in aiuto dei fratelli anche se questo significa disobbedire ai voti pronunciati, diventa un prete soldato, fino ad essere ufficialmente "arruolato" dall'esercito congolese di Mobutu coi gradi di colonnello. Da quel momento in poi la sua missione non sarà più quella canonica di evangelizzare e civilizzare il popolo, bensì di guidare vere e proprie missioni militari aventi lo scopo di liberare altri religiosi rimasti pericolosamente nelle zone controllate dai Simba. Il suo "Quinto commando", composto da mercenari scelti da lui stesso e guidato con l'appoggio dei suoi fedelissimi "quattro angeli" (un missionario spretato francese, un congolese dalla mira infallibile, un ex repubblichino e un radiomarconista), verrà così ingaggiato, con la benedizione del nunzio apostolico (presente da anni in Africa e che quindi conosce la realtà della situazione molto meglio dei diretti superiori di Marco, che invece lo richiamano più volte all'ordine), per compiere diverse incursioni in territorio nemico, che permetteranno il salvataggio di centinaia di missionari e di civili. E che faranno diventare il nostro protagonista e il suo battaglione delle vere e proprie leggende.

Pregi
Si tratta di un romanzo pieno di azione e avventura, in cui secondo me il pregio maggiore è quello di farci entrare nel vivo di un evento storico che, vuoi per questioni di propaganda, vuoi per effettive difficoltà di interpretazione, rimane ancora oggi carico di ombre e in cui i confini tra il ruolo dei "buoni" e quello dei "cattivi" non è così netto come potrebbe apparire di primo acchito. I ribelli, infatti, dopo il doppio gioco del Belgio, sembrerebbero dalla parte del giusto, rivendicando la piena indipendenza tanto promessa e opponendosi alle mire economiche di sfruttamento del Katanga da parte di potenze straniere. Tant'è che lo stesso Louis Chevallier, uno dei "quattro angeli" e forse l'amico più caro di Marco in Congo, all'inizio sostiene la loro causa. Ma poi i loro metodi cruenti, i loro rapimenti e le loro torture gli hanno fatto perdere l'appoggio non solo di Luois, ma anche dello stesso Marco (aiutato in tutte le sue missioni militari dall'esercito regolare) e del lettore che non può che schierarsi con la sua dedizione a un compito superiore che lo porta più volte sull'orlo della morte. Epperò... Sulla scena c'è anche un certo Ernesto Guevara, detto "il Che", oggi immagine iconica della lotta del popolo contro l'oppressione del potere, che in Congo era giunto per esportare la propria idea di rivoluzione schierandosi quindi coi suoi castristi dalla parte dei ribelli. Chi ha ragione? I ribelli che combattono per la libertà, ma che si servono di metodi inumani, o i regolari che si ergono a difensori dei deboli con l'unico scopo di consegnare il Congo (o almeno la sua regione più ricca) nelle mani dello straniero? "Io dò retta solo alla mia coscienza" ci dice padre Marco, e non si può certo non essere d'accordo con lui quando questa sua coscienza lo porta a rischiare la vita per salvare le suore dallo stupro e i padri missionari dalle torture. Lo si è forse un po' meno quando si capisce che per raggiungere tale nobilissimo scopo deve schierarsi dalla parte degli oppressori e degli sfruttatori. Ma questa opacità, queste contraddizioni, questo confuso intrecciarsi di fini giusti con mezzi sbagliati e viceversa non sono forse la caratteristica principale di tutte le guerre? 

Difetti
Molto bene, quindi, dal punto di vista della trama, della storia che si dipana veloce e della Storia che le fa da cornice e da coprotagonista. Molto meno bene, invece, dal punto di vista della resa narrativa. Potrei definire questo romanzo una grande storia scritta senza passione. Manca completamente l'empatia, la partecipazione dell'autore ai fatti narrati che accompagni il lettore non solo dentro la vicenda, ma soprattutto dentro gli animi dei protagonisti, nelle loro emozioni e nei loro turbamenti, nel loro cuore. Gli slanci interiori dei personaggi, emotivi o sentimentali che siano, le loro reazioni più intime ai fatti che accadono intorno a loro e che li muovono, sono sempre liquidati con frasette di circostanza o, peggio, lasciati all'interpretazione del lettore. La scena di Marco e Thiago condannati a morte, ad esempio, con tutto il carico di emozioni contrastanti che dovrebbe portare con sé, è descritta così male da sembrare una gag da cabaret che non strappa nemmeno una risata. La cosa è così smaccata da farmi pensare a una scelta consapevole di Manfredi, quella cioè di puntare tutto sui fatti lasciando che siano loro a parlare anche per i personaggi. Ma se così fosse il suo intento sarebbe miseramente fallito, perchè lo spessore di tali personaggi ne risulta a mio parere gravemente svilito. Chiuso il libro (che ammetto di aver letto con una certa fatica) mi è rimasta la sensazione di aver avuto a che fare con una cronaca, più che con un romanzo. Di esso mi ricorderò la storia del Congo, mi ricorderò di Lumumba, Mobutu e Mulamba, di Che Guevara, di Kasavubu, dei Simba e di tutti quei personaggi che quella storia hanno contribuito a scriverla. Mi ricorderò invece un po' meno di Marco e di Rugenge, del dottor Kazianoff e di padre Vezzali, di Solari e di "Piero e poi basta", di Louis e di Bashira; di tutte quelle figure cioè che in quella storia hanno vissuto e lottato ma che l'autore non ha saputo (o voluto) rendere pienamente reali.

Consigliato a
Chi ama il romanzo storico avventuroso

Voto
3/5                     

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