L'estate, con l'arrivo delle vacanze, è il periodo dell'anno in cui, finalmente, ci si può dedicare all'ozio. E' il momento in cui possiamo "staccare la spina" e occuparci di quello che ci piace di più, dei nostri hobbies, dei nostri svaghi, dei nostri interessi, o semplicemente possiamo starcene in pace seduti sotto un pino a contemplare il paesaggio e a riflettere, sognare, immaginare, fantasticare, creare. E possiamo farlo in tutta libertà, senza condizionamenti, ma, soprattutto, senza sensi di colpa. Sì, perchè invece durante il resto dell'anno dobbiamo lavorare, studiare, impegnarci nelle attività quotidiane che ci permettono di portare a casa, come si dice, la pagnotta. Durante il resto dell'anno l'ozio è bandito dalla nostra vita, vietato, condannato e in certi casi, addirittura, punito. Ma non è sempre stato così. Gli antiche greci, ad esempio, provavano disprezzo per il lavoro, che infatti era riservato agli schiavi, mentre nell'antica Roma l'otium era il tempo libero dalle occupazioni politiche o militari da dedicare all'attività creativa e allo studio, e non aveva alcuna connotazione negativa. Ho riunito qui un po' di libri che cercano di riabilitare e nobilitare l'ozio, di farlo rientrare a pieno titolo nelle necessità imprescindibili di uomini e donne, che lo antepongono anzi, come importanza, a qualsivoglia altra attività pratica. Perché, come diceva Oscar Wilde: "La vita contemplativa, la vita che ha per scopo non il fare ma l'essere, e non l'essere semplicemente, ma il divenire: ecco che cosa può darci lo spirito critico. Gli dèi vivono così".
Siamo davvero sicuri che l'ozio sia il padre dei vizi?
L'ozio come stile di vita
Tom Hodgkinson
Rizzoli
Un utilissimo vademecum per chi desidera fare dell'ozio l'attività più importante delle sue giornate e raggiungere nel dolce far niente la felicità di una piena realizzazione personale, senza essere appesantito dai sensi di colpa. Partendo da una critica sostanziale all'attuale modello sociale che prevede una iperattività continua e considera l'ozio come un vizio da evitare, lo scrittore inglese (direttore della rivista "The Idler" , in cui scrittori e umoristi esaltano i piaceri dell'ozio e della pigrizia e combattono l'idolatria del lavoro) programma la giornata ideale dell'ozioso. Dal risveglio posticipato
alle attività da svolgere in attesa del pranzo (leggere poesie, concedersi una capatina mattutina al pub, dedicarsi all'arte, alla contemplazione e alla "nobile attività del bighellonare") e alla critica al concetto moderno di lavoro, quello post rivoluzione industriale.Non solo alzarsi presto è del tutto innaturale, ma io voglio anche affermare che restarsene a letto mezzo addormentati è estremamente benefico per la salute e l'umore. Una buona mezz'ora trascorsa dormicchiando nel letto la mattina può, per esempio, aiutarvi a prepararvi mentalmente per i problemi e i compiti che vi aspettano.
Le macchine sottrassero il processo di produzione alle mani e alle menti. [...] [I nuovi lavoratori] forse guadagnavano più denaro, ma la qualità della loro vita subì un durissimo colpo. Il caos gioioso, le attività svolte in armonia con le stagioni, la varietà, il cambiamento, l'autogestione: tutto ciò fu sostituito da una cultura del lavoro brutale, standardizzata, dei cui effetti paghiamo le conseguenze ancora oggi. In altre parole, il posto fisso fu inventato per rendere le cose più facili a coloro che stanno al vertice.Dopo aver risolto il problema dei postumi della sbornia della notte precedente rivalutandone gli aspetti positivi (acutezza dei sensi che può portare addirittura ad uno stato visionario, occasione per prendersi una "pausa dalla realtà" e restarsene tranquilli in casa "con una quantità illimitata di tazze di tè, degli amici che si trovano nel nostro stesso stato e un film demenziale in tv") si passa al pranzo, cui si deve dedicare tutto il tempo necessario (e qui ci sta un'altra critica al fast food e alle brevissime pause-pranzo), all'imprescindibile pisolino pomeridiano, all'ora del tè, alla sana conversazione e alla meditazione, per arrivare infine all'ora di andare a letto e al sonno notturno cui dobbiamo dedicare tutto il tempo necessario. Fondamentale, poi, il capitolo dedicato al sesso, che necessitando di un certo sforzo fisico potrebbe creare qualche problemino all'ozioso professionista.
Un libro che tra il serio e il faceto (ma molto più serio di quanto si potrebbe immaginare) ci fa riflettere sulla necessità di prenderci qualche pausa e di dedicare più tempo al nostro essere umani.
Ciò che tutti noi facciamo oziando è rivendicare a gran voce il bisogno di vivere in un modo più antico, naturale e primitivo.
I pensieri oziosi di un ozioso
Jerome K. Jerome
Vari editori
Questo non è strettamente un libro sull'ozio, ma è un libro che senza l'ozio non avrebbe potuto essere scritto. Attraverso 14 racconti, saggi e pensieri l'arguto, ironico e mordace autore di Tre uomini in barca mette a nudo vizi (tanti) e virtù (poche) della moderna borghesia inglese, sfruttando, appunto, l'obiettività e la presa di distanza che la sua predisposizione all'ozio e alla contemplazione gli permettono di avere. Con la sua prosa tipicamente british in bilico tra riflessione seria e ironia salace, condita con aneddoti divertenti ed irriverenti, Jerome ci parla con la stessa attenta e leggera premura di bollette, amore, tempo, abiti, bambini, letto, pigrizia e lavoro. E naturalmente della sua amatissima pipa, inseparabile compagna di ozi, cui il libro è dedicato.
Elogio dell'ozio
Robert Louis Stevenson
La vita felice
Conosciuto ai più come l'autore de L'isola del tesoro e di altre celebri opere di fantasia, forse non tutti sanno che Stevenson fu anche un attento osservatore della realtà che lo circondava, nonché un estimatore dell'ozio in tutte le sue forme. Scritto di getto nel pieno della seconda rivoluzione industriale, questo pamphlet contesta apertamente l'abbrutimento cui stavano andando incontro i nuovi lavoratori, l'aridità di sentimenti e di slanci emotivi delle nuove generazioni, la scomparsa di interessi che fossero all'altezza di quelli legati al profitto e all'operosità.
Esiste una sorta di morti viventi, individui insulsi che a malapena sono consapevoli di esistere se non nell'esercizio di qualche occupazione occasionale. [...] Quando non devono recarsi al lavoro, quando non hanno fame nè voglia di bere, l'intero universo vivente è uno spazio vuoto per loro. Se a costoro occorre di dover aspettare un treno per un'ora o più, cadono in una specie di stupido trance a occhi aperti. A guardarli si è portati a ritenere che non esista nulla che meriti di essere osservato e nessuno con cui parlare; sembrano paralizzati o alienati, eppure è del tutto probabile che costoro a modo loro siano lavoratori indefessi, e che abbiano la vista buona solo per scovare un refuso in un atto legale o una fluttuazione del mercato.
E a tutto questo contrappone un sano ritorno all'ozio, inteso come la riconquista del proprio tempo e di un uso indipendente della propria persona, ormai legata a doppio filo ad un'etica del lavoro che al di là dei proclami sembra ridurre uomini e donne in schiavitù.
La cosa più importante per un uomo, dice Stevenson, è la felicità, quella di cui può godere l'ozioso dalle finestre del suo "Belvedere del Buon Senso":Il perenne attaccamento a ciò che un uomo chiama i suoi affari può essere sorretto solo dal perenne oblio di molte altre cose. E non è affatto sicuro che il lavoro sia la cosa più importante per un uomo.
Un paesaggio verde e sereno; salotti illuminati dal fuoco dei camini; brave persone che ridono, bevono e fanno all'amore come facevano prima del Diluvio universale o della Rivoluzione francese; e il vecchio pastore che conta le sue pecore sotto il biancospino.
Lavoro utile, fatica inutile
William Morris
Donzelli
Pubblicato una decina d'anni dopo quello di Stevenson, anche questo libello, scritto da uno dei più eclettici ed influenti uomini d'arte e di politica dell'Inghilterra del secondo Ottocento, si scaglia contro le conseguenze negative che la Rivoluzione industriale ha portato nella vita quotidiana di uomini e donne, concentrandosi però esclusivamente sul concetto e sulla visione moderna del lavoro. Posso sintetizzarlo in due citazioni, che più di ogni altra considerazione rendono l'idea del pensiero dell'autore.
La prima:
E la seconda, che spiega in cosa consiste questa "parte decorativa" e la contrappone a quella che potremmo definire "parte utile" della vita così come si stava profilando in quegli anni, ma che per certi versi può essere applicata anche ai nostri giorni:Dobbiamo cominciare a costruire la parte decorativa della vita - i suoi piaceri, fisici e mentali, scientifici e artistici, sociali e individuali - sulla base del lavoro intrapreso volentieri e con gioia, consapevoli di apportare in tal modo un beneficio a noi stessi e a chi ci sta intorno.
Ricchezza è quello che la Natura ci dà e quello che un uomo assennato può trarre dai suoi doni per farne un uso ragionevole. La luce del sole, l'aria fresca, l'incontaminato volto della Terra, e quanto abbisogni di cibo, vestiario e alloggi decenti; l'accumulo di conoscenze di ogni tipo, e il potere di diffonderle; i mezzi con cui gli uomini possano liberamente comunicare fra loro; le opere d'arte, la bellezza che l'uomo crea quando è uomo nel senso più alto, animato da aspirazioni e premura per gli altri - tutte cose al servizio del piacere della gente, libere, degne di un uomo e incorrotte. Questa è la ricchezza. Nè posso pensare a qualcosa che valga la pena avere e che non ricada in una di queste categorie. Ma riflettete, ve ne prego, su quel che produce l'Inghilterra, l'officina del mondo: non rimarreste sconcertati, come lo sono io, al pensiero di una massa di oggetti che nessun uomo sano di mente potrebbe desiderare, ma che la nostra inutile fatica produce - e vende?
Sull'ozio
Seneca
Vari editori
Scritto nel 62 d.C., è il dialogo in cui Seneca cerca di conciliare il suo ritiro dalla politica con i principi dello stoicismo, cui si è sempre attenuto e che prevederebbero invece la preminenza della vita pubblica su quella privata. In fondo, dice Seneca, le concezioni dell'otium che derivano dalla dottrina stoica e da quella epicurea sono molto simili, perchè entrambe affermano che alla base dell'attività, e quindi dell'impegno per la res publica, c'è sempre e comunque la contemplazione, fonte primaria e basilare del piacere. Si tratta, in sostanza, della contrapposizione classica tra otium e negotium, nella quale secondo il filosofo di Cordova i due termini si sostengono a vicenda. Interessante, ai fini della nostra lista, è lo slittamento semantico del termine otium, che nell'antica Roma significava sostanzialmente "lavoro (privato) che eleva lo spirito", mentre oggi ha una valenza esplicitamente negativa, volendo significare il non aver voglia di fare niente contrapposto alla buona volontà di colui che invece si dà da fare.
Elogio dell'ozio
Bertrand Russell
Tea
Questo libro prende il titolo da uno dei quindici saggi che lo compongono. In esso il filosofo, matematico e logico gallese esprime la sua critica all'attivismo imperante e la sua convinzione che in una società ideale sia fondamentale concedere il giusto spazio alla contemplazione. Come i già citati Stevenson e Morris anche Russell prende le distanze dal concetto moderno di lavoro, dalla ricerca sfrenata del profitto e dal mancato sfruttamento delle invenzioni tecniche che avrebbero potuto limitare la fatica fisica degli uomini, ma che hanno al contrario causato un'accelerazione dei ritmi lavorativi. La sua proposta, rimasta celebre (e inattuata) era di limitare la giornata lavorativa a quattro ore, il che avrebbe portato alla fine della disoccupazione e avrebbe nel contempo permesso ad ogni lavoratore di non essere "tagliato fuori da molte delle cose migliori", cioè dall'ozio e dalla conseguente opportunità di essere, prima che un lavoratore, un essere umano.
Ozio creativo
Domenico De Masi, Maria Serena Palieri
Rizzoli
Partendo dalle stesse considerazioni di Russell, il sociologo del lavoro De Masi arriva ad una conclusione ottimistica, profetizzando in un certo senso la realizzazione del sogno del filosofo gallese. Proprio perché le macchine hanno limitato drasticamente la fatica fisica, nella società postindustriale l'"ozio creativo" (l'aggettivo diventa oggi obbligatorio se vogliamo ridare al concetto la valenza positiva che aveva in origine) è destinato ad assumere un ruolo da protagonista, nel lavoro come nel tempo libero. Anzi, lavoro e tempo libero finiranno col fondersi assieme in una quotidianità in cui la tecnologia ci permetterà di riappropriarci dei nostri spazi personali e nello stesso tempo di restare in contatto con il mondo. Nel più recente Lavorare gratis, lavorare tutti, De masi sembra mitigare leggermente il suo ottimismo, constatando l'aggravarsi del problema della disoccupazione (dovuto proprio all'avvento di quelle macchine che avrebbero dovuto semplificare la vita dell'uomo) e proponendo, come soluzione, di lavorare gratis, per scardinare il sistema economico vigente e realizzare una società finalmente libera dal lavoro e, quindi, più felice.
L'arte dell'ozio
Hermann Hesse
Mondadori
Quella espressa da Hesse in questa raccolta di racconti e riflessioni in gran parte autobiografici è una concezione dell'ozio di matrice orientale, che pone l'accento sull'individualità, la contemplazione, la qualità del pensiero del singolo contro la quantità della massa. E' l'ozio caro agli artisti, terreno di coltura della creatività, baluardo della spontaneità contro l'avanzata sempre più spregiudicata della razionalità e dell'efficientismo.
Per noi artisti la personalità non è un lusso, bensì condizione esistenziale, aria vitale, capitale irrinunciabile. [...] Fin dalle origini gli artisti hanno sempre avuto bisogno di momenti d'ozio, in parte per chiarirsi nuove conoscenze e portare a maturazione il lavoro inconscio, in parte per riavvicinarsi ogni volta, con disinteressato fervore, al mondo naturale, diventando nuovamente bambini, sentendosi di nuovo amici e fratelli della terra, della pianta, della roccia e della nube.
Il diritto all'ozio
Paul Lafargue
Vari editori
Pubblicato nel 1883, questo pamphlet di ispirazione socialista (apprezzato, tra gli altri, da Karl Marx) è in buona sostanza un attacco contro quella "strana follia", l'amore per il lavoro, che si è impossessata delle masse della società moderna e che ha portato alla degenerazione intellettuale tipica delle società capitalistiche. Quella di Lafargue è una violenta invettiva contro il lavoro estenuante che porta all'alienazione e una appassionata difesa del diritto al tempo libero. Inoltre, anticipando Russell, critica l'uso sempre più massiccio delle macchine che non porta ad un'effettiva riduzione dell'orario di lavoro. Famosa la sua frase: "Dio stesso ci dà un buon esempio di ozio: dopo aver lavorato per sei giorni, si riposa per l'eternità".
Complimenti per questo blog...una fonte inesauribile per chi come me ama la lettura di evasione e non solo...Ti dispiace se lo rimando in un gruppo di lettori su Facebook?
RispondiEliminaCiao Bella di Giorno, e grazie per i complimenti! Rimanda pure tutto quello che vuoi, mi fa piacere se i miei post girano un po'. Spero di continuare a soddisfare la tua curiosità anche in futuro. Ciao!
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