domenica 29 luglio 2018

CINQUE LIBRI PER UN'ESTATE CONTROCORRENTE


Le vacanze non sono solo divertimento e dolce far niente, possono essere anche l'occasione per riprendere contatto con noi stessi, per prenderci un attimo di pausa dalla vita frenetica di tutti i giorni e cercare di capire chi siamo, cosa vogliamo e dove stiamo andando. Sono in tanti, in effetti, quelli che decidono di sfruttare le ferie estive per concedersi un periodo di ritiro spirituale in qualche eremo o monastero in cerca di pace, serenità e consapevolezza. Non bisogna essere per forza dei fervidi credenti per poter apprezzare il silenzio dei chiostri, l'armonia dei gesti e delle occupazioni, il piacevole assopimento di tutti quei "bisogni" che la vita di tutti i giorni ci fa sembrare insopprimibili. Comunque sia, che abbiate deciso di passare una settimana a Ibiza o nella spoglia tranquillità di una cella monastica, i cinque libri che ho raccolto qui sono un invito ad andare oltre, a riscoprire la nostra spiritualità e il nostro nocciolo di esseri umani, al di là di qualsivoglia inclinazione morale o religiosa. Ruotano tutti intorno alla religione, ovviamente, ma ho cercato di suggerirne una lettura per così dire laica, visto che comunque trattano, in fondo, di una cosa che dovrebbe appartenere a tutti: la coscienza.   


Sulle strade del silenzio. Viaggio per monasteri d'Italia e spaesati dintorni
Giorgio Boatti
Laterza 


Il giornalista Giorgio Boatti compie un lungo viaggio attraverso la penisola alla ricerca, come ci dice, non del monastero giusto, ma del "solido orientamento" che quei luoghi di ritiro sembrano in grado di poterci offrire. Dall'abbazia di Finalpia, in Liguria, alla badia del Goleto in Irpinia, passando per Bose, Praglia, Camaldoli, Subiaco, San Giovanni Rotondo e tanti altri monasteri e abbazie che costellano il  nostro Paese, Boatti descrive i luoghi, i paesaggi, gli ambienti e le atmosfere in cui si svolgono la vita e le attività dei monaci, e ci rende partecipi delle loro emozioni attraverso interviste molto intime e intense che ci restituiscono la loro mentalità, i loro sogni e le loro semplici aspirazioni. Nelle loro esistenze incentrate sulla spiritualità e sul lavoro, il giornalista riconosce (e noi con lui) una semplicità e una schiettezza d'animo che non fanno più parte del bagaglio culturale dell'uomo moderno, così come non vi fanno parte la serenità e la pace di cui quei monaci sembrano pervasi. E ne trae un insegnamento fondamentale: allontanarsi dal mondo è utile, perché serve per acquisire una visione onesta e distaccata delle cose e dei fatti che ci circondano e perché ci fa capire che la vita va assaporata in ogni suo più piccolo dettaglio, anche quello apparentemente più insignificante. Solo in questo modo potremo ritrovare la lunghezza d'onda del nostro essere umani e, dalla giusta prospettiva, capire quali sono le cose che contano veramente. 
Ormai ho imparato ad alzarmi presto. L'alba è generosa: consente sempre di allargare le braccia per accogliere la giornata che viene incontro. Come potevo, fino a qualche tempo fa, non capire che il risveglio non è soltanto aprire gli occhi, ma avere l'occasione di ricominciare davvero ogni volta? Di essere nuovi in un mondo che, basta stropicciare via dagli occhi la pigrizia per accorgersene, è in perenne mutamento. Dove la vita stessa, basta muovere qualche passo per constatarlo, sta davanti senza ostentazione, porgendo doni ai quali per lo più neppure badiamo.  

Trovare rifugio. Riscoprire dentro se stessi la pace del monastero
Christopher Jamison
Mondadori


L'abate di un monastero benedettino inglese ci offre la sua ricetta per realizzare dentro di noi la pace profonda e la serenità tipiche della vita monastica. E' un percorso a tappe, che si basa sull'antica regola di San Benedetto, attualizzata per renderla percorribile dall'uomo moderno, un uomo che è sempre più "indaffarato", e che non trova mai il tempo per dedicarsi alla dimensione spirituale. Per sfuggire a questa condizione bisogna entrare nel santuario, "un santuario del cuore e della mente dove le normali leggi fisiche non valgono. Non lo scopriremo tutto in una volta, perché è un santuario infinito". Il primo "gradino monastico" per accedere a questo santuario è costituito dal silenzio. 
La storia passata e presente dei certosini ci ricorda che il potere del silenzio vissuto in solitudine è così reale che può in effetti riempire tutta la vita di alcune persone. E la mia convinzione è che non solo possa riempire tutta la vita di alcuni, ma che debba riempire parte della vita di tutti.
Per conoscere se stessi e per crescere occorrono delle visioni profonde che solo la solitudine può dare.
Il secondo gradino è rappresentato dalla contemplazione. Ovvio che in un monastero "contemplazione" sia sinonimo innanzitutto di "preghiera", ma a noi laici profani interessano di più le altre due interpretazioni del termine, citate da Jamison, e cioè "meditazione" e, soprattutto, "lettura". Eh già, cari bibliomaniaci, per Benedetto "il modo fondamentale per meditare e la via essenziale per essere creativamente in silenzio è la lettura". Lettura di testi religiosi, pensava lui, lettura di qualsiasi testo creativo, mi permetto di aggiungere io, che santo non sono ma che mi vanto di conoscere un pochetto i poteri che si sprigionano da un testo scritto. E se è vero che "per la maggior parte della gente leggere è funzionale o è uno svago e soprattutto è rapido" e che nei monasteri si tramanda "la tradizione della lettura meditativa", è anche vero che una delle caratteristiche che differenziano l'essere umano da tutte le altre specie animali è l'immaginazione, che anzi per il noto storico israeliano Harari (l'autore di Sapiens e Homo deus, per intenderci) è proprio la tipicità che ci ha permesso di diventare i padroni del pianeta. E l'immaginazione è uno dei poteri scatenati dalla lettura, anche da quella cosiddetta "d'evasione". Per cui teniamoci ben stretta la lettura, che a seconda dei casi può portarci alla meditazione, alla contemplazione o all'immaginazione (o alla preghiera, certo), sempre comunque un gradino più su verso il nostro santuario.
E siamo al terzo gradino, quello dell'obbedienza, o, meglio, della "libertà obbediente". Obbedienza alla propria coscienza, si intende, opposta per esempio all'obbedienza del consumatore moderno.
Quando le persone sostengono di essere libere, ma in effetti obbediscono a regole non dichiarate, non abbiamo una definizione. Non c'è un termine, perchè questa è una situazione molto moderna e difficile da riconoscere. Questo aspetto ancora senza nome della vita moderna è pericoloso, perché le persone non sanno di essere soggette a progetti di altri e dunque non vedono motivo di liberarsene. L'apparente libertà del consumatore può accecare le persone fino a una dipendenza molto profonda.
Gli altri gradini sono l'umiltà ("la capacità di essere contenti qualsiasi cosa vi accada è il frutto di una grande autoconsapevolezza), la comunità (la condivisione delle solitudini ), la spiritualità e, infine, la speranza, che per i benedettini equivale alla speranza nella vita ultraterrena, ma che per chi benedettino non è (e nemmeno monaco) può benissimo limitarsi ad una visione ottimistica di questa vita terrena, l'unica che ci è dato conoscere, una volta recuperato il proprio status di essere umano a tutti gli effetti.
Quello dell'abate Jamison è quindi un testo di carattere religioso, ma che proprio grazie all'immaginazione (e a un po' di sana irriverenza) può diventare un valido vademecum adatto a tutti coloro che cercano nella vita qualcosa che vada al di là del materiale.

Clausura. Le nuove testimoni dell'assoluto
Espedita Fisher
Castelvecchi


Frutto di quattro anni di lavoro e pubblicato per la prima volta nel 2007, questo libro riporta una lunga serie di incontri e interviste con più di quaranta monache che hanno scelto la clausura, per cercare di capire chi sono, come vivono, ma soprattutto perchè queste donne, a volte giovanissime, hanno deciso di abbandonare il mondo per dedicarsi completamente alla preghiera e alla contemplazione. C'è Elena, Clarissa, che ha lasciato il fidanzato e accantonato la sua laurea in chimica e il suo lavoro ben remunerato perchè sentiva crescere dentro di sè un vuoto che niente riusciva a colmare, finchè ha trovato nella clausura "l'essenziale" che, senza volerlo, andava cercando da sempre, perchè 
qui si vive di gioia, tutto è stupore. Il senso della clausura non è dare conforto a chi viene alla grata. Neppure la preghiera per l'Umanità. E' accettare di essere "nulla". E' vero: la nostra vita "va sprecata", come il nardo di Maddalena sui piedi di Gesù. Ma ci vuole coraggio a farlo, a perdersi completamente ogni giorno.
C'è Alina, Clarissa urbanista rumena, che dopo la caduta del comunismo, ancora bambina, scoprì che la libertà a lungo negata dal regime consisteva nel passare ore davanti ai programmi della tv finalmente sdoganati e nell'uscire con gli amici, fin quando non si rese conto che "una foglia può parlare meglio del più grande oratore". 
C'è Benigna, Clarissa cappuccina, in monastero dal 1952. Affascinata dalla vita claustrale fin da piccola, dice che
la natura umana tende all'offesa, cioè a oscurare il lato spirituale. [...] Di solito, se sei nel giusto, ti capiscono in pochi. Il mondo non è un posto per saggi. Siamo come i turiboli per l'incenso: bruciando purifichiamo ciò che ci circonda. La sofferenza, in realtà, è una possibilità di crescita: nel mondo spirituale tutto è al contrario.
 E l'elenco continua con tante altre monache di diversi ordini religiosi, che incalzate dall'autrice raccontano la loro vita quotidiana dietro la grata e spiegano il perché di una scelta che oggi più che mai sembra così lontana dal sentire comune.

Eremiti
Espedita Fisher
Castelvecchi


Dopo la pubblicazione di Clausura la giornalista calabrese Espedita Fisher ha compiuto un altro viaggio, questa volta alla ricerca degli eremiti moderni, persone che hanno deciso di ritirarsi dal mondo in completo isolamento per dedicarsi ad una vita di contemplazione e di arricchimento interiore. Alcuni sono partiti dalla religione, altri semplicemente sono alla ricerca di un senso dell'esistenza che vada al di là della realtà materiale che caratterizza la nostra società moderna. Fra' Paolo, ad esempio, vive in una casetta da lui stesso costruita sulle rive di un fiume, e dedica il suo tempo a scolpire il legno, a procacciarsi il cibo (assolutamente vegetariano) e a pregare. Il suo, dice, è un atto d'amore nei confronti della Natura, perché
compresi la vana lotta dell'individuo contro se stesso, che se scisso dalla sua parte spirituale è in esilio dal suo ambiente naturale. Non sappiamo più cosa sia l'armonia. La nostra cultura e il nostro sapere nascono dalla contrapposizione con la Natura. [...] Oggi so di essermi ritirato su queste montagne per cercare di salvare almeno un granello della sconfinata Natura che continua a proteggerci nonostante tutto. 
Il viaggio della Fisher continua lungo tutta la penisola, dal Monte Grappa in Veneto alla Calabria, con una veloce incursione sul monte Athos, in Grecia, incontrando eremiti ed eremite delle più diverse estrazioni sociali e inclinazioni, tutti però pienamente appagati dalle loro esistenze solitarie. Molti di loro, pur vivendo in luoghi isolati e, a volte, impervi, apprezzano il contatto sporadico con altre persone con cui possono confrontarsi e restare allo stesso tempo in qualche modo collegati alla realtà che li circonda (c'è chi svolge anche attività di sostegno alle persone bisognose), ma tutti sono accomunati dall'intima necessità di cercare in se stessi una verità che li renda liberi e appagati.  
  
I monaci di clausura
Tonino Ceravolo
Rubbettino


Concludo il mio veloce excursus nel mondo della spiritualità con questo interessante libretto di Tonino Ceravolo, esperto di storia e antropologia religiosa, in cui vengono elencate quelle che sono le caratteristiche che accomunano un po' tutti i monaci di clausura, dal medioevo ai giorni nostri. Si parte dal tempo, che, in monastero,
possiede la caratteristica della lentezza, dell'assenza di ogni agitazione e della mancanza della fretta, di una scansione ispirata ai ritmi naturali della giornata.
Si passa poi all'isolamento, che è prima di tutto isolamento interiore.
La solitudine e il silenzio del cuore, la quies dell'anima, non il semplice allontanamento in spazi remoti e difficilmente esplorabili, sono il contrassegno della vita eremitica. L'isolamento dello spazio esteriore non è altro che l'aspetto visibile dell'altro isolamento, quello, invisibile, dello spazio interiore, reso deserto perché possa essere abitato e invaso solo dal Divino.
Non manca, naturalmente, l'aspetto religioso, e poi la cura del corpo, col regime alimentare adatto al monaco di clausura e l'importanza del lavoro manuale, che è sì una forma di preghiera ma anche un modo per tenersi in esercizio. Infine la morte, che per il monaco è anche il giorno in cui la vita comincia, e infatti viene chiamato dies natalis, e che prevede una serie di precisi rituali coi quali i confratelli accompagnano il defunto nel suo ultimo e più importante viaggio.
 

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