[Mio padre] non tollerava le donne nemmeno in fasce. Gli piacevano, certo. Gli piacevano come a mia mamma piacevano gli uomini, ma voleva averle a modo suo. Schiave silenziose, sottomesse e impaurite, tappeti da calpestare e buttare via a calci. Agli amici d'osteria spiegava che le donne dovrebbero essere fatte dal collo alle ginocchia. Testa e caviglie non erano necessarie. Almeno per lui. Così diceva, ostentando il suo ghigno feroce. Suo padre, cioè mio nonno, era quasi peggio. Affermava, e lo faceva spesso, che non bisogna uccidere le donne solo perché fanno gli uomini. Questo era mio nonno. E ha detto anche di peggio. Allora che devo fare? Anch'io ho quelle tendenze. Siamo di razza. Una razza maledetta da Dio.
Titolo: Nel muro
Autore: Mauro Corona
Editore: Mondadori
Anno di pubblicazione: 2018
Prezzo di copertina: € 19,00
Sinossi
Giunto a quello che lui stesso ha deciso essere il termine della sua vita (ha in programma da tempo di suicidarsi), un uomo ripercorre le tappe della sua esistenza difficile all'ombra di imprecisate montagne dell'Italia settentrionale, fino al ritrovamento, nell'intercapedine del muro di una baita in mezzo ai boschi, che ha deciso di acquistare e ristrutturare, di tre corpi mummificati di donne la cui morte risale a centocinquant'anni prima. Sulla loro pelle è incisa una lunga serie di segni misteriosi che hanno tutta l'aria di essere una lingua sconosciuta. Chi erano quelle donne? Perché hanno fatto quella fine? E che storia (se di una storia si tratta) è stata incisa sui loro poveri corpi, forse mentre erano ancora in vita, a giudicare dall'espressione di puro terrore con cui sono rimasti pietrificati i tratti del volto? Il protagonista senza nome decide di dedicare gli ultimi anni della sua esistenza a decifrare quello che lui chiama "il mistero delle mummie", con la speranza che esso possa alla fine dare un senso alla maledizione che sembra gravare sulla sua stirpe, i cui membri sono da sempre caratterizzati da un rancore e da una misoginia che sono spesso sfociati in atti di crudeltà gratuita e inaudita nei confronti delle donne, e che hanno corroso in maniera irreversibile le loro anime. Con la compagnia del vino, della belladonna, delle tre mummie e di una cerva che chissà come mai ha deciso di non staccarsi mai da lui, tormentato da visioni da film horror, pieno di rabbia nei confronti del mondo e di chi lo abita, insofferente ai rapporti umani (se si esclude un breve flirt con una donna, l'unica di cui si sia mai innamorato, che è la classica eccezione che conferma la regola), il nostro uomo trascorre le stagioni tra la baita e i boschi che la circondano (con alcune rare escursioni nel mondo esterno quando viene convinto a esporre e promuovere le sue sculture di legno), a cercare di tradurre quei segni in una lingua conosciuta, perché sente dentro di sè che proprio lì, in quei corpi martoriati, si nasconde il segreto della maledizione dei Galvan, e quindi anche quello del suo destino.
Pregi
C'è questa descrizione, a pagina 67, che ricorda il Corona di un tempo, quello che sapeva irretirti con le parole trasportandoti di peso dentro un paesaggio, dentro un'atmosfera. La riporto integralmente, perché è stato l'unico momento in cui mi sono sentito appagato dalla lettura.
Una sera tornavo dal bosco verso casa. Per arrivarci dovevo traversare il torrente su un ponte di legno e poi una frazione tenebrosa abbandonata dagli abitanti. Veniva giù dalle montagne quel vento di novembre che taglia la faccia e avvilisce l'anima. Vicino al capitello di San Gervasio, un faggio tremava. Nelle case vuote tintinnavano i vetri, come se i vecchi abitatori battessero con le dita sulle finestre. Le ombre della sera, piegate come falci, rasavano il selciato invaso da erbe secche e sambuchi scheletriti. L'autunno portava il freddo come l'aria porta una nuova voce e io pensai al Natale. All'angolo della via, una lampadina solitaria mandava una fioca luce che agitava l'anima e ingigantiva la malinconia. Il silenzio pioveva sul borgo abbandonato come neve invisibile. Non viveva più nessuno in quel grappolo di case. Dov'era la gente? Che fine aveva fatto? Era andata via. Lungo il torrente a monte alcuni imprenditori stavano alzando una diga e gli abitanti presero paura, così avevano lasciato tutto ed erano partiti. Più in alto il resto del paese stava al sicuro. Sessant'anni prima, quando veniva il Natale, nel borgo abbandonato suonava la campana, batteva un orologio. Tra le vie sussurravano voci, ombre intabarrate scantonavano furtive. Nelle case balenavano i fuochi dei camini. Ora più niente. Tutto era buio e silenzio.
Difetti
Ho cominciato a leggere questo libro spinto dalla buona impressione che mi avevano lasciato altri romanzi di Corona, Storia di Neve e Il canto delle manére in primis, ma mi sono ben presto reso conto che Nel muro mai avrebbe potuto competere con la verve narrativa, l'incisività delle descrizioni e il fascino della trama e dei personaggi di quei lavori ormai lontani nel tempo. Ci ho trovato infatti una trama piatta e monotona, un personaggio ripugnante e uno stile ripetitivo e ridondante, prolisso al punto che duecento pagine in meno non gli avrebbero tolto nulla. Non ci ho trovato invece un'anima (se non quella nerissima e respingente del protagonista), un significato, un qualche tipo di morale, un senso. C'è questo tizio che odia le donne (ma neanche per gli uomini prova questa grande simpatia), le stuprerebbe e poi le ammazzerebbe tutte, che scopre la storia di un suo antenato che le donne le ha stuprate e uccise davvero. Punto. E quindi? Cosa vorresti dirmi con questa storia, buon vecchio Mauro Corona? Perché mi son dovuto sorbire quasi 280 pagine di rancore, odio e misoginia, di scene stomachevoli e di pensieri disgustosi solo per arrivare ad un finale che si conosceva già fin dall'inizio? Sì, perché neanche il mistero delle mummie (l'unico incentivo che mi ha trattenuto dal sistemare il libro sotto la gamba del comodino traballante già dopo le prime cento pagine) svela alla fine chissà cosa, ma rivela solamente (di nuovo, come se tutto il resto del romanzo non parlasse che di quello) il carattere turpe e depravato dei discendenti maledetti dei Galvan. Sì sì, per carità, c'è anche l'infanzia difficile, il padre che mena e la madre che si concede allegramente ad altri uomini sotto gli occhi sempre più spenti del figlio, la vita aspra e difficile in montagna, una certa vena artistica che il protagonista ha sfruttato per dare sfogo alla sua misoginia (non sia mai!), e tutto il campionario dei motivi (per niente originali) che lo hanno fatto diventare quello che è: un relitto umano senz'anima, senza amore, legato più agli animali che agli esseri umani, solitario per scelta anche nella morte, un uomo che il rancore ha svuotato della sua umanità riempiendolo di triste visioni, tristi ragionamenti, tristi progetti, tristissime opinioni sul mondo e sui suoi abitanti. Forse sono io che non ho capito (cosa plausibilissima), ma dovrebbe stare in questo background familiare e nelle sue conseguenze il significato del libro? Oppure nella scoperta dell'ereditarietà del male e nell'intento del protagonista di estinguere la stirpe maledetta dei Galvan ponendo fine alla sua misera vita? Oppure nell'isolato ed effimero barlume con cui l'amore ha rischiarato per un brevissimo periodo il suo animo tetro? Oppure ancora nella scoperta stessa della maledizione che grava sulla famiglia da centocinquant'anni? Oppure...che cosa? Non so... Se qualcuno di voi ci ha trovato qualcosa, in questo libro, di illuminante, di emozionante, di qualsiasi cosa, gli sarei grato se me lo facesse sapere, giusto per poter dire di non aver sprecato il mio tempo in modo tanto inutile e, mi tocca dirlo, davvero irritante.
Consigliato a
Stavolta invece che un consiglio voglio dare uno "sconsiglio". Sconsiglio questo libro a tutti coloro che per un motivo o per l'altro si sentono depressi. Non contribuirà certo a tirarvi su il morale. Anzi.
Voto
1/5
Devo dire che come donna, femminista, sono affascinata da questo tipo di prosa. Sicuramente è perché non credo all'amore romantico e nemmeno leggo romanzi nell'idea di ricavarne concetti morali che mi potessero servire poi nella vita. I romanzi che piacciono a me sono quelli che permettono di esplorare in libertà le zone buie, conflittuali, dei rapporti umani. Con questo ultimo libro di Mauro Corona sono pienamente soddisfatta. Mi è piaciuto molto di più che "La via del Sole", che avevo trovato un po' troppo rocambolesco, cioè non mi ha molto convinto nel fantasticare sul desiderio di onnipotenza, come l'ha descritto li.
RispondiEliminaQuesto libro è paradossale, ma io lo vedo come geniale. Se contiene un messaggio morale, lo vedo come oscurato. Bisogna supporre, come l'ho fatto io, e questo mi ha reso la lettura abbastanza affascinante, che un messaggio di speranza c'è e che l'autore, Mauro Corona, non si confonde con il narratore senza nome e senza speranza. Intravvedo nel racconto un messaggio positivo nel fatto che questa violenza, descritta meticolosamente, possa diventare così apparente, così scandalosa, che finalmente un modo per rimediarci possa essere individuato. Perché quello che ha permesso a una cultura misogina di esistere e durare per secoli, è il silenzio nel quale si sono trovate le vittime, la banalità del male. Secoli di misoginia patriarcale, quindi molto più dei 150 anni del racconto, che tratta di mummie intrappolate e nascoste. Nelle culture patriarcali severe le donne non hanno altra scelta che tacere, sottomettersi e quindi, diventare bersaglio della violenza sociale (non solo maschile) appena fanno una mossa che avrebbe permesso loro una azione soggettiva creata in libertà, mossa necessaria per diventare un essere umano uguale in dignità all'uomo. Questa incapacità, da parte dei dominatori maschi, di lasciare spazio alla soggettività delle donne è la radice che porta quel tipo di atrocità descritte nel libro di Corona. Come se servisse che nella coppia uno stesse fermo e ubbidiente, così quell'altro ha il potere di gestire, e nel patriarcato il potere soggettivo della gestione è attribuito esclusivamente agli uomini. A rafforzare l'idea che questo libro parla di uguaglianza come valore di speranza e non soltanto di violenza, mi sembra che Corona, nel descrivere il rapporto con quella donna senza nome, che chiama "l'alba delle prime volte", esprime considerazioni sul benessere che prova a vivere nell'uguaglianza con lei, per il fatto che lei sia vivace, libera, imprevedibile, ma si nota anche che poi i due caratteri si scontrano. Quindi l'uguaglianza nella coppia appare come fattore che può portare a vivere tensioni. Nel quadro di quel rapporto, come è stato descritto nel libro, si era trattato di baruffe lievi, gestibili, fino al momento che lei si è disinteressata di lui. (continua...)
Corona la violenza l'ha solo pensata,ma questo suo pensiero ha fatto trasparire la doppia personalita' degli umani, il bene e' il male che si cela
Eliminanel nostro essere.
Quindi per sanare la misoginia, prima è necessario porre il diagnostico, e prima ancora vedere il male. Ed è in questo che servono le descrizioni meticolose di Corona, dal mio punto di vista. Così può avvenire la presa di coscienza, poi infine la catarsi. Per denunciare un male che si trasmette in modo inconscio, tramite la cultura, ci vuole un modo che parla direttamente all'inconscio, quindi non un discorso di denuncia, ma un discorso di identificazione con il violento. Si presume poi che una catarsi debba avvenire, ma come? Semplicemente quando il lettore ritorna in sé, dopo la lettura, un po' allo stesso modo che il protagonista esce fuori dalle sue allucinazioni, descritte da Corona con una meticolosità quasi maggiore in rapporto alle scene di violenza. La catarsi avviene quando il lettore si accorge che la violenza che lo disgusta non è reale, ma soltanto una rappresentazione che egli si è creato mediante la lettura del romanzo. La catarsi e resa possibile perché violenza è raccontata, virtuale, fiabesca, quindi incompiuta nel mondo reale. Chi si blocca alla lettura di questo romanzo è sicuramente per il timore di un molto improbabile passaggio dal virtuale al reale, che non si produce perché il più spesso questi due livelli rimangono dissociati. Perché a questo serve la letteratura, il teatro e le arti in generale. Quindi, rimettendo le cose apposto, ci si accorge che questo romanzo non è affato un libro che promuove la violenza, ma l'opera di un autore che conosce il principio della catarsi, e quindi che mira piuttosto tramite il racconto a sanare questi comportamenti violenti, dando l'allerta, ma senza compiere nessun danno. Si nota anche poi nel libro che il lettore riesce a identificarsi al protagonista soprattutto quando questo si interessa di decifrare i segni, mica per gli stati d'animo depressivi dove descrive, impotente, l'indole che porta a comportamenti misogini o violenti. Non cerca di insegnarci o invogliarci ad essere violento, siccome questo lo riconosce come un diffetto suo.
RispondiEliminaBuongiorno. Non ho scritto che non mi è piaciuto il libro perché promuove la violenza, ma semplicemente perché non ci ho trovato nessun messaggio, nessuna morale, in pratica nessun senso. Tu dici che si tratta di una denuncia della società patriarcale attraverso l'identificazione col violento. Va bene, ma: 1 la società patriarcale non è certo quella descritta da Corona, che con i suoi personaggi ha creato più che altro una società dell'orrore, piena di sadici e di stupratori che non hanno niente a che vedere con i "patriarchi" di un tempo (che erano sì maschilisti, ma di certo non erano gente che le donne le avrebbero ammazzate tutte); e 2 c'è modo e modo per descrivere certe cose e lanciare un certo tipo di messaggio. Cioè, vorresti dire che Corona ha esagerato il tutto con una sorta di iperbole affinché il lettore, identificandosi col violento, si renda conto, una volta uscito dal romanzo, di qual era la condizione della donna in quelle società? Mah... Secondo me se il messaggio che l'autore intendeva lanciare è questo, direi che ha fallito completamente, perché, ripeto, la società patriarcale non era certo quella descritta nel libro. E comunque noi possiamo fare tutte le congetture e le parafrasi che vogliamo, ma quello che conta, alla fine, è quello che c'è nel libro. E nel libro c'è solo questo uomo misero, prigioniero dei propri istinti, contro i quali si batte (senza neanche tanto impegno), ma che sa che l'unico modo per sfuggirgli completamente è quello di uccidersi. Potrebbe aiutare ad aprire gli occhi sulla condizione della donna in generale? Ancora mah... Il "tipo di atrocità descritte nel libro di Corona" non esiste nella realtà, se non nella mente bacata di qualche schizofrenico misogino che dovrebbe giustamente essere escluso dalla società, per non creare danni. Non ho provato nessuna catarsi, alla fine, solo noia e disgusto... Comunque grazie per il commento, per fortuna la lettura è sempre soggettiva ed è giusto che ognuno ne venga influenzato in modo diverso! Quella che proponi è una bella interpretazione, solo che io non riesco a "leggerla" nel libro, a trovarla, se c'è è ben nascosta, troppo nascosta. Ma questa, come sempre, resta solo la mia piccola, personalissima opinione. Buone letture!
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