Terzo appuntamento con la Top 100, e altri tre libri da mettere nella Biblioteca Ideale. Dopo aver citato i tre testi religiosi fondamentali e i classici omerici, facciamo un saltino in avanti per parlare di tre opere che sono state scritte nel medioevo e che hanno contribuito in maniera decisiva alla nascita della lingua italiana. Sto parlando naturalmente della Divina Commedia di Dante Alighieri (chiamata dal poeta fiorentino semplicemente Commedia), del Canzoniere di Francesco Petrarca (titolo originale: Rerum vulgarium fragmenta) e del Decameron di Giovanni Boccaccio.
I primi componimenti che hanno tentato di emancipare la lingua italiana dal latino sono stati, si sa, quelli della scuola siciliana (Iacopo da Lentini, Cielo D'Alcamo, Pier della Vigna, inizi XIII secolo), anticipati di qualche decennio da alcuni sporadici Ritmi di carattere religioso, il più famoso dei quali fu il Cantico delle creature di Francesco d'Assisi (che fu però contemporaneo alle prime opere dei siciliani). Ma furono i tre grandi fiorentini (Dante prima di tutti) a codificare in modo preciso, e soprattutto consapevole, quella che sarebbe poi diventata la lingua usata in tutta la penisola, basandosi sul dialetto toscano, non senza aver riconosciuto l'importanza e l'autorità di quello siciliano che per primo è stato usato per comporre opere di elevato livello letterario.
Detto questo, sembra perfino superfluo spiegare perchè queste tre opere debbano figurare tra le imprescindibili. Basti pensare che la fortuna della Divina Commedia fu immediata fin dalla sua prima comparsa nel XIV secolo, ed è continuata ininterrotta fino ai giorni nostri, con lievi cedimenti solo durante il Rinascimento e l'Illuminismo, quando il gusto letterario era rivolto più all'armonia classica del Petrarca (Rinascimento), o al razionalismo dei filosofi settecenteschi (Illuminismo). Oltre a costituire un esempio di componimento poetico considerato ancora oggi insuperato da molti critici di tutto il mondo, rappresenta un affresco preciso della società fiorentina di quello scorcio di medioevo ed una summa del sapere scientifico, filosofico e religioso dell'epoca, nonchè un'avventura straordinaria che non smette di incantare.
Il Canzoniere petrarchesco, poi, è considerata la prima raccolta lirica della poesia moderna, una poesia cioè in cui la donna (nel caso specifico la tanto amata Laura) è vista come una creatura terrena, soggetta alle leggi implacabili dell'invecchiamento, molto lontana quindi dalla precedente idealizzazione stilnovistica, e in cui riveste un ruolo fondamentale l'intimità del poeta. La sua lingua è stata considerata dagli umanisti del Cinquecento la lingua poetica ideale, mentre il suo stile divenne il modello di riferimento per un ricchissimo filone che va sotto il nome di "petrarchismo" e che si mantenne vivo fino al Settecento, per poi tornare in auge nel Novecento grazie soprattutto all'attenzione riservatagli da poeti come Umberto Saba e Giuseppe Ungaretti.
Il Decameron, infine, può essere considerato la prima grande opera in prosa della letteratura italiana (se escludiamo Il Novellino e il Libro dei sette savi, di autori ignoti, che sono però privi dello spessore, ma soprattutto della profonda e consapevole ricerca linguistica del Boccaccio), e anche la sua lingua divenne ben presto un modello da imitare. I temi spesso licenziosi ed erotici delle sue novelle diedero vita ad un aggettivo, "boccaccesco", che usiamo ancora oggi per indicare comportamenti disinvolti in questo senso, anche se forse non era nelle intenzioni dell'autore conferire a questo aspetto tanta importanza.
Tre opere, quindi, nelle quali possiamo ritrovare le radici della nostra lingua, ma che sono state anche una cesura fondamentale tra medioevo e modernità, atto di nascita di quella sensibilità che sta ancora oggi alla base del nostro modo di vedere la vita.
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