venerdì 18 maggio 2018

MASSIMO FINI, CONFESSO CHE HO VISSUTO


E' uscito in questi giorni per i tipi di Marsilio un volume che raccoglie i tre testi autobiografici di Massimo Fini, giornalista e scrittore milanese che qualche anno fa è stato costretto ad abbandonare la scrittura da un disturbo alla vista che lo ha reso progressivamente semicieco. Il libro si intitola Confesso che ho vissuto. Esistenza inquieta di un perdente di successo, e comprende: Di[zion]ario erotico. manuale contro la donna a favore della femmina (pubblicato per la prima volta nel 2000); Ragazzo. Storia di una vecchiaia (pubblicato in origine nel 2007); e Una vita. Un libro per tutti. O per nessuno (uscito nel 2015). Mi sembra una buona occasione per spendere due parole su questo "perdente di successo" (la definizione è di Giovanni Minoli, e Fini la fa orgogliosamente sua) che non trova riscontri nel (modesto) panorama culturale italiano. Giornalista per vocazione (è stato tra l'altro inviato di guerra, uno di quelli che la guerra la viveva sul campo, non dalle hall degli alberghi), filosofo per passione, polemico per indole, convinto antimoderno e per questo molto più moderno di molti progressisti à la page che sono di casa su giornali e televisione, osservatore acuto e smaliziato dei vizi del nostro tempo, Fini è sempre sfuggito a qualsiasi tentativo di etichettatura. Bollato a seconda delle convenienze come fascista, veterocomunista, anarchico, passatista, utopista, ha sempre portato avanti la sua battaglia ideologica in modo coerente senza mai farsi condizionare dalle mode, finendo suo malgrado per essere isolato da tutti quegli "intellettuali" che lo considerano nel migliore dei casi un ingenuo sognatore. E sognatore Fini lo è di sicuro, ma un sognatore di quelli lucidi, consapevoli, che usano il sogno come un trampolino di lancio che gli permette di allontanarsi per un momento dalla realtà per tornare ad immergervisi subito dopo con sguardo acuto e distaccato, ma non per questo meno appassionato. Come dice lui stesso nella bellissima introduzione a questo volume:
Sono sempre stato terribilmente ingenuo. Infantile. E lo sono rimasto. In me c'è un eterno bambino che non vuole arrendersi alla realtà. Non che io non la veda, la vedo anche troppo lucidamente, ma mi rifiuto di arrendermi. Inseguo sogni. Come uno dei miei eroi prediletti, Catilina, di cui ho fatto una biografia.
Fini è un borderline per natura, uno che ha sempre preferito immergere mani e piedi nel sottobosco sociale, frequentando, come dice lui stesso, 
[...] i mondi anarchici, ubriaconi, la mala milanese, le bische, i giocatori d'azzardo, gli omosessuali prima che fossero sdoganati. Nel mio narcisismo mi piaceva recitare la parte dell'angelo che vola sfiorando le fiamme senza bruciarsi le ali. Invece, com'era inevitabile, me le sono bruciate, eccome.
E ancora, in questo passo che evidenzia bene il suo anticonformismo:
Ho sempre pensato che la verità, quel poco di verità relativa che è dato di conoscere a un uomo, si trovasse molto di più nei bassifondi, nella ribellione, nel dolore, nella sofferenza. Non ho però l'animo della crocerossina, detesto l'equivoca bontà di personaggi come Madre Teresa di Calcutta, che è poi la bontà sanguinaria di Santa Caterina da Siena, questo pascersi del dolore altrui. Fra il Bene e il Male ho sempre preferito il Male, a Dio la titanica ribellione di Lucifero ("Meglio esser primi in Inferno che in Ciel servire"). E comunque c'è sempre da diffidare dell'ipocrisia del Bene, soprattutto quando si pretende Assoluto, come ci dice anche la storia degli ultimi trent'anni. Non sono "un uomo di buona volontà".
Massimo Fini ha esordito come scrittore nel 1985, con La Ragione aveva torto?, libro che lui ha sempre considerato "la madre di tutte le battaglie", e che a causa delle sue tesi anticonvenzionali è stato rifiutato dagli editori più importanti e pubblicato solo dopo cinque anni di tentativi dalla piccola Camunia. Resta ancora oggi, a mio parere, la sua opera più importante, quella in cui si palesa il nucleo incandescente del suo pensiero, la sua critica della modernità in quanto figlia dell'Illuminismo, il dubbio che quello in cui stiamo vivendo non sia esattamente "il migliore dei mondi possibili", la lancinante e vertiginosa idea che le magnifiche sorti e progressive di leopardiana memoria stiano conducendo la società occidentale verso un vicolo cieco, come un treno lanciato a tutta velocità, senza un conducente e senza freni, destinato inevitabilmente, prima o poi, ad andare a sbattere (metafora a lui tanto cara). Dopo sono arrivati altri sedici libri, compresa un'opera teatrale (Cyrano, se vi pare..., scritta in collaborazione col regista Eduardo Fiorillo, che Fini ha portato sulle scene nelle vesti di attore, "improvvidamente", dice lui), un romanzo distopico, Il Dio Thoth (nato dal suo amore per i grandi modelli di Orwell e, soprattutto, Aldous Huxley) e quattro gustosissime biografie di altrettanti personaggi che rientrano appieno in quella figura di maudit che il nostro ha sempre dichiarato di preferire: Nerone (sdoganato in tempi non sospetti, quando ancora lo si ricordava solo come colui che aveva dato alle fiamme Roma e perseguitato i cristiani), Catilina (rivoluzionario ante litteram che da solo osò sfidare la corruzione del senato romano), Nietzsche (che rappresenta un punto di riferimento basilare per il pensiero di Fini, che in questo libro ne fa un ritratto crudo, sincero e appassionato, in cui traspare la sua ammirazione per il filosofo, ma anche la sua affettuosa vicinanza ad un uomo che, come lui, è sempre stato un disadattato) e il Mullah Omar (sostenitore di un "medioevo sostenibile" contro l'arroganza dell' ipertecnologico e impersonale invasore occidentale). Ma è nei saggi, ovviamente, che possiamo trovare il cuore pulsante della sua filosofia. Oltre all'imprescindibile La Ragione aveva torto? ricordiamo Elogio della guerra (1989), Il denaro. "Sterco del demonio" (1998), Il vizio oscuro dell'Occidente. Manifesto dell'antimodernità (2003), Sudditi. Manifesto contro la democrazia (2004) e Il Ribelle dalla A alla Z (2006), che rappresenta la summa del suo pensiero. E poi ci sono le opere autobiografiche, quelle raccolte in questo volume, che completano il ritratto di un personaggio vero, mai banale, mai ipocrita, sincero in modo disarmante, che ha sempre tenuto fede alle proprie idee e alle proprie convinzioni, anche se questo gli è costato l'emarginazione dall'establishment culturale. Un'emarginazione che Fini ha però sempre esibito come un vanto, senza mai scadere nell'autocommiserazione o, peggio, nell'invidia. Perché è facile seguire la strada maestra, mentre è molto più difficile aprirsi un varco nella foresta. E anche perchè lui è fondamentalmente un solitario, come ci spiega in quest'altro passo dell' introduzione:
Su di me circolano delle leggende metropolitane: che sia misogino, che sia omosessuale, che sia un tombeur de femmes. Nessuna corrisponde alla realtà, ma in ognuna c'è un pizzico di verità. Una sola cosa è certa: nella fase terminale della mia esistenza, quella che sto vivendo adesso, sono diventato misantropo. Anzi, ad osservar bene lo sono sempre stato. Per tutta la vita mi sono sentito un uomo solo, uno fuori posto, uno spostato appunto.
Consiglio quindi a tutti la lettura di questo libro, che anche se non diventerà il viatico per una conoscenza più approfondita del pensiero dell'autore, resta comunque, di per sè, un'opera gradevolissima: divertente, provocatoria, maliziosa (leggere il di[zion]ario per credere), scritta in modo impeccabile (perchè Fini, come diceva Montanelli, possiede una maestria nella scrittura che in tanti dovrebbero invidiargli) e ricca di aneddoti riguardanti tutta una serie di personaggi che hanno fatto la storia dell'Italia (e non solo) degli ultimi settant'anni, molti dei quali Massimo Fini ha conosciuto di persona.   
   

 

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