mercoledì 18 marzo 2020

RECENSIONE: NERO COME LA NOTTE


Titolo: Nero come la notte
Autore: Tullio Avoledo
Editore: Marsilio
Anno di pubblicazione: 2020
Prezzo di copertina: € 19,90

"Il comune preferì dimenticarsi completamente del complesso. Come se non ci fosse mai stato, o sorgesse su un altro pianeta. Tipo su Marte, o ancora più lontano. Non venne realizzata nessuna infrastruttura. Nessuna strada, fognatura, impianto di depurazione, linea elettrica o telefonica. Le Zattere andarono lentamente alla deriva. Atti vandalici, occupazioni abusive che per difficoltà logistiche non superavano mai l'inverno, e un incendio che distrusse uno dei quattro edifici, spostarono le Zattere nella zona oscura della memoria collettiva, da cui emergevano solo occasionalmente, nella cronaca nera e negli elzeviri politici dei due superstiti quotidiani locali".

Sinossi
  Sergio Stokar, il protagonista e voce narrante, è un ex poliziotto ed ex guardia del corpo. E' razzista con simpatie neonaziste, e il suo passato è una terra incognita. Di certo si sa che è stato abbandonato mezzo morto davanti ad uno degli edifici delle Zattere, palazzoni fatiscenti ai margini dell'immaginaria città di Pista Prima, nel ricco Nordest italiano, occupati abusivamente da una comunità di immigrati di razze diverse. Dopo essere stato rimesso in sesto dal dottor Chatterjee, un indiano che presta opera di volontariato e che dà l'impressione di saperla più lunga di quello che sembra, Stokar diventa "lo sceriffo" del complesso, incaricato dall'autonominatosi "Consiglio delle Zattere" di mantenere per quanto possibile l'ordine e di far rispettare la giustizia. Il compito non è dei più difficili, per uno come Sergio, fino a quando non riceve l'incarico di indagare sull'omicidio di una prostituta che lui stesso aveva frequentato, ma soprattutto sulla morte per squartamento di quattro ragazzine del quartiere. La caccia ai colpevoli lo metterà faccia a faccia con i membri senza scrupoli della mafia russa e albanese, ma gli darà anche la possibilità di riesumare poco a poco il suo passato, filtrando tra i suoi ricordi quelli veri da quelli falsi. Durante questa battaglia contro un nemico disposto a tutto e contro se stesso, Sergio incontrerà anche l'amore nella figura di Elena, giovane ragazza che sta scrivendo una tesi sulle Zattere. Ma capirà in fretta che dell'amore, così come dell'amicizia nata con alcuni abitanti di London, l'edificio in cui abita, non si potrà fidare, e che solo il suo istinto potrà aiutarlo, nel caso fosse ancora possibile, a riabilitare la propria vita.   

Commento
  Tullio Avoledo è un autore che ama disorientare. I suoi romanzi hanno sempre una faccia nascosta, una dimensione altra che il lettore scopre un po' alla volta dopo essere stato accompagnato con apparente (ma quanto ingannevole!) noncuranza all'interno di una storia relativamente ordinaria. Da L'elenco telefonico di Atlantide (2003) in poi, infatti, i suoi personaggi, assolutamente verisimili, privi di qualsiasi attributo straordinario, umani, si potrebbe dire normali, si sono visti trascinare (spesso catapultare improvvisamente) in situazioni che con la normalità hanno ben poco da spartire. I suoi lavori sono stati catalogati sotto diversi generi: ucronia, distopia, fantascienza, anticipazione. Ma lo spunto iniziale, il gancio che ci trasporta nei suoi mondi (a parte, forse, i due romanzi ambientati nel Metro 2033 Universe di Dmitry Glukhovsky) non ci dà mai l'impressione di esserci imbattuti in una qualche forma di narrativa "di genere". E non solo perché spesso le peculiarità di questo "genere" non emergono subito, cogliendoci, come detto, quasi di sorpresa, con conseguente straniamento ed esponenziale aumento di suggestione e fascinazione, ma anche perché questi mondi altri, a volte alternativi, a volte intravisti in un più o meno lontano futuro, possiedono il dono raro della concretezza e della verisimiglianza. Sono, cioè, del tutto reali. 
  Nella sua personalissima ed originale frequentazione dei "generi", Avoledo aveva sempre evitato il giallo/thriller/noir, quello più popolare, ma anche il più abusato e inflazionato, e per questo forse il più difficile da innovare. Lo fa, finalmente, in questo Nero come la notte, e lo fa a modo suo, implementando cioè in una trama "regolare", il cui fil rouge è costituito da un doppio mistero da risolvere (l'assassinio delle ragazzine e il passato del protagonista), tutti quegli elementi che, come detto, da sempre caratterizzano la sua narrativa. La storia si svolge infatti in una città di fantasia del Nordest italiano, Pista Prima, il cui nome viene peraltro menzionato pochissime volte, col risultato, appunto, straniante, di star assistendo a vicende che si svolgono contemporaneamente in nessun luogo e in tutti, in una città reale che non esiste, in un mondo alternativo che ha tutte le qualità del nostro. La storia di Sergio Stokar diventa così una storia emblematica, sfumata nel mito, vera di una verità che trascende luoghi e personaggi e che si cala nel nostro immaginario come una coltre di neve sporca, adattandosi al terreno duro e irregolare dei nostri mondi interiori. Tipico è poi il tema della setta pseudo-religiosa, esoterica o satanica che dir si voglia, che compare in molti dei suoi lavori precedenti  e che contribuisce a creare quello scarto dalla realtà che, lungi dal rendercela meno concreta, contribuisce ad aumentare l'atmosfera cupa e claustrofobica che avvolge tutto il romanzo (così come nel citato L'elenco telefonico di Atlantide accentuava la vena ironica che lo contraddistingueva). 
  A questi elementi destabilizzanti della realtà fanno da contraltare i riferimenti all'attualità politica ed economica dell'Italia, spesso polemici ma mai avulsi dal contesto, e a tanti dei temi che agitano oggigiorno l'opinione pubblica: i migranti, il razzismo, la povertà, il potere, l'arricchimento dei pochi a discapito dei molti, l'emarginazione sociale, la disillusione, la mancanza di speranze in un futuro quantomai incerto. Tutti elementi volti a ri-stabilizzare, in un continuo gioco di realtà e finzione che costituisce, come detto, una delle cifre stilistiche più peculiari di questo autore.
  Nero come la notte è un romanzo crudo, a tinte fosche, a tratti cattivo. Ci sono pochi spiragli di luce nella storia di Sergio (già di per sè personaggio poco raccomandabile), così come nella vita della gente che lo circonda, dai poveri (a volte miserabili, sempre comunque abbandonati a se stessi) abitanti delle Zattere, ai "cattivi" o presunti tali dai quali cerca di difendersi, agli amici (pochi) che nel corso della sua lenta rinascita riesce a farsi. D'altronde il grosso della trama si svolge tutto dentro quei palazzoni fatiscenti, e l'autore è bravo (e crudele) a calcare i toni sull'atmosfera opprimente che vi si respira. Anche le poche, rare uscite dalle Zattere, negli ancor più rari casi in cui esse non siano dirette a compiere o a subire azioni tutt'altro che piacevoli (come nel caso delle visite all'ex moglie Carla), sembra siano funzionali allo svilimento del protagonista, per il quale, fino alla fine, non si riesce davvero a intravedere una via d'uscita dignitosa. 
  Non è una lettura facile, né scorrevole. Non è il classico giallo che si legge tutto d'un fiato. Nero come la notte è un romanzo intenso, carico, che tocca corde profonde. Veniamo immersi nel fango della vita di Sergio senza preamboli e senza appigli cui aggrapparsi, con lui lottiamo e ci dimeniamo per salvarci la vita, ci lasciamo andare quando le forze ci abbandonano e ci commuoviamo nei rarissimi casi in cui intuiamo che la vita è qualcosa di più, e di meglio. Sergio Stokar, infatti, sembra un predestinato della sconfitta, ma non ha l'animo del perdente, anzi. E sotto sotto non è neanche quello sporco razzista che ci era stato presentato ("Ti comporti e parli da razzista. Anzi, da nazista. Ma dentro di te sei un uomo giusto" gli dice Osvaldo, il barista cinese). E di sicuro non è insensibile al fascino della leggerezza. Quella che può regalare l'amore, ad esempio, che in un attimo per lui inusitato lo fa scoppiare in lacrime tra le braccia di Elena, e che gli fa scrivere (il romanzo è narrato in prima persona) frasi che brillano di luce propria, come "Per certi sorrisi ci vorrebbe il porto d'armi", o "Ascolto con gli occhi la sua bellezza, come se fosse una canzone". O quella dell'ironia, sempre in qualche modo presente nei romanzi di Avoledo e che qui viene usata come una sorta di boccata d'aria fresca che ci permette per un attimo di tirare fuori la testa dal fango. Memorabili in tal senso le scene con "la vecchia Rondolini", sua professoressa di greco del ginnasio affetta dalla sindrome di Tourette e da conseguente coprolalia, o certi dialoghi carichi di humor nero con i compagni di sventura delle Zattere.
  Questo, insomma, è un romanzo che vuole il suo tempo, che va letto con attenzione, con calma, se non si vuole rischiare di perdere per strada gran parte del suo fascino. E' un romanzo denso, vischioso, pieno di riflessioni su cui soffermarsi e di emozioni da far emergere. E' un romanzo che all'inizio potrebbe respingere, ma che se gli si dà fiducia è ampiamente in grado di ripagarla. E' un noir ("nero" in tutti i sensi) che può appagare i gusti dei fan di Ellroy, Izzo, Carlotto, Lucarelli, Barbato, ma che mostra in calce, questa, sì, bella luminosa, la firma del suo autore. E', insomma, in tutto e per tutto, un noir alla Tullio Avoledo.    

Consigliato a 
Gli appassionati del genere (questo è un "nero" in tutti i sensi).
Gli appassionati di Tullio Avoledo (questo è un Tullio Avoledo, al 100%).
Chi non si accontenta del giallo tutto-trama.
Voto
5/5 
           

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